L’invidia – conosciamola meglio

Dott. Giorgio ConteCuriosità, Psicologia

Oggi si parla dell’invidia. O meglio se ne dovrebbe parlare tutti i giorni. Si perché a tutti è noto il concetto sintattico, ma meno quello morfologico. Si tende sempre a vederla manifestarsi e operare negli altri, ma la consapevolezza sulle sue cause e sui suoi meccanismi è ancora poco chiara ai molti e genera vortici di rabbia, cattiveria e incomprensioni che scatenano circoli viziosi ripetitivi senza fine.

A tutti, chi più chi meno, è capitato nel corso della vita di sperimentare questo sentimento negativo; per esempio quando il/la vostro/a collega riceve un premio, o quando al/alla vostro/a migliore amico/a si sposa, o quando il vostro capo posta su facebook le fotografie della sua magnifica vacanza e vi sentite pervasi da un sentimento non esattamente piacevole e che mai si vorrebbe ammettere.
Si tratta della famigerata “invidia”, quell’emozione di cui si sente spesso parlare, sia in ambito lavorativo che nelle relazioni personali. Ma di cosa si tratta? E’ patologica, o sana?

Brevi cenni storici
Il primo in psicologia a parlare apertamente del concetto è stato Freud parlando di “invidia del pene”, concetto ripreso da Jung nel “complesso di Elettra”. L’invidia del pene (molto molto sintetizzato) nasce dal sentimento di “castrazione” che le bambine provano nei confronti della propria madre ritenuta “colpevole” di questa mancanza vissuta come un’ingiustizia e ricercando la sua compensazione affettiva nell’amore paterno; il padre diventa desiderabile poiché possiede ciò che le è stato negato. Date queste condizioni la bambina prova meno angoscia e opera una rimozione minore; ciò causerebbe nella donna lo sviluppo di un Super Io più debole e fragile.
Ma nella quotidianità il concetto è molto più elementare e meno sofisticato di come lo dipingeva il buon vecchio Sigmund.

Un esperimento recente
Una ricerca più attuale è quella di Mina Cikara e Susan Fiske, ricercatrici dell’Università di Princeton (Stati Uniti). Le ricercatrici hanno dimostrato l’associazione tra l’invidia e una vero e proprio piacere “biologico” in una serie di esperimenti i cui risultati sono stati pubblicati sugli Annals of the New York Academy of Sciences. “Una mancanza di empatia non è sempre patologica – ha spiegato Cikara – E’ una risposta umana, e non tutti la sperimentano, ma in molti casi succede”.
Cikara e Fiske hanno innanzi tutto valutato il piacere associato ad eventi spiacevoli misurando l’attività dei muscoli coinvolti nel sorriso attraverso un elettromiogramma. Agli individui che hanno partecipato all’esperimento sono state mostrate fotografie di persone cui sono spesso associati degli stereotipi, ad esempio di anziani, che ispirano sentimenti di pietà, o di ricchi professionisti, che invece suscitano invidia. Alle fotografie sono stati associati eventi piacevoli, spiacevoli o neutri, ad esempio vincere dei soldi, essere investiti da un taxi o assentarsi per andare alla toilette. “Le persone sorridevano di più in risposta ad eventi negativi che in risposta ad eventi positivi – ha spiegato Fiske – ma solo nel caso dei gruppi di cui erano invidiosi”. Gli esperimenti successivi hanno approfondito la conoscenza del fenomeno dimostrando che l’invidia spinge anche a desiderare di fare del male alla persona invidiata e che a scatenarla sono la competizione e il fatto che qualcun altro occupi una posizione più elevata rispetto alla propria.
Le conseguenze. “E’ possibile, in alcune circostanze, che la competizione sia buona”, ha sottolineato Cikara. Non è però da escludere che questo fenomeno possa rilevarsi controproducente, ad esempio nell’ambiente lavorativo. “Creare competizione è il modo migliore per far sì che i dipendenti siano produttivi?”, si chiede Cikara, rispondendo che “le persone potrebbero essere preoccupate di dover far cadere altre persone, e questo non è quello che vuole un’azienda”.

Ma cosa si nasconde dietro il sentimento dell’invidia?
Dietro all’invidia si possono celare differenti sentimenti: senso di inferiorità, inadeguatezza, frustrazione, impotenza, odio e rabbia per il successo dell’altro che sembra oscurarci. Non percepiamo le nostre risorse, potenzialità e possibilità, ma il nostro pensiero si concentra sullo svalutare l’altro nel tentativo di preservare il nostro valore.
Ricordate la favola della volpe e l’uva? La volpe, non potendo raggiungere l’uva, dice che è amara. Allo stesso modo, se svaluto l’altro e quello che ha, lo porto al mio livello e riesco così a mitigare il mio senso di inferiorità e frustrazione scaturito dal confronto. Svalutare ciò che non si può ottenere è dunque una strategia per nascondere i nostri limiti: è una sorta di autoinganno utilizzato dalla nostra mente per preservare il nostro ego. Alcuni ricercatori hanno evidenziato come chi prova invidia non riesca ad instaurare relazioni positive con gli altri, restando bloccato in sentimenti come il risentimento, l’astio e la vergogna. Alla base vi è sempre un senso di insicurezza che porta ad una scarsa fiducia di sé, ad una bassa autostima e alla tendenza ad attribuire successi e insuccessi a cause esterne a sé, come la fortuna o la sfortuna.

Esiste anche l’invidia buona?
No. L’invidia è sempre e solo da vedersi in un’accezione negativa. Il connubio “invidia buona” è un’antinomia. Nel caso in cui l’invidia si palesi in termini positivi prende il nome di ammirazione quando il senso critico viene utilizzato non per distruggere l’altro, ma per vederne le qualità che anche noi vorremmo avere, l’invidia si trasforma dunque in ammirazione e diventa il motore utile a realizzare i nostri obiettivi, a muoverci ed a crescere. Utilizzare questa facoltà per confrontarsi con l’altro può spingere a migliorarsi, invece che sentirsi frustrati e denigrare l’altro. Può diventare invece sana competizione laddove si ragiona in termini di “Se lui/lei sì, perché io no?” e diventa quindi una motivazione all’azione che ci stimola a raggiungere traguardi sempre più lontani ed accettare i nostri limiti, trasformandosi in “Se lui/lei può, posso farcela anch’io!”.

Come superare questo sentimento in maniera positiva?
Prima di tutto bisogna ammettere il sentimento. Riconoscere la propria situazione è già un buon passo in avanti, poi occorre sfruttare l’invidia come uno stimolo a conoscersi e a migliorarsi.
“L’invidia è la ladra della gioia” diceva Theodore Roosevelt e su questa affermazione, chi prova invidia “distruttiva”, dovrebbe fermarsi a riflettere, domandandosi in primis se continuare su questa strada sia davvero proficuo per lui/lei. L’invidia è infatti legata a doppio filo con l’autostima, ci costringe ad un continuo confronto tra noi e gli altri, o meglio, tra ciò che non va nella nostra vita e l’immagine distorta e superficiale che abbiamo della vita altrui. Da questo confronto ossessivo ed ìmpari usciamo inevitabilmente sminuiti, frustrati, sconfitti. Ma l’essere umano è in grado di provare anche una forma di ammirazione e (sana) competizione ed è su queste che dobbiamo lavorare. Osservare pregi e difetti dell’altro infatti permette di confrontarsi con se stessi e comprendere cosa va migliorato, ovvero quali sono i limiti e le potenzialità inespresse di sé da migliorare. Sfruttiamo, quindi, questo sentimento come un input per fare meglio.
Dopo aver riconosciuto di essere invidiosi, il passo successivo per superare l’invidia e realizzare i nostri obiettivi consiste dunque in una piena e totale assunzione di responsabilità. Responsabilità significa letteralmente capacità di dare risposta. L’invidioso di norma attribuisce la responsabilità della propria situazione sempre agli altri, agli eventi e alla sfortuna, (locus esterno) privandosi di fatto della “capacità di dare risposta”, di decidere attivamente del proprio futuro. Per superare l’invidia dobbiamo dunque assumerci appieno la responsabilità dei risultati che abbiamo ottenuto finora, sia buoni che cattivi. Solo in questo modo prenderemo nuovamente il controllo della nostra vita e smetteremo di preoccuparci di ciò che stanno ottenendo gli altri, focalizzandoci invece su ciò che vogliamo ottenere noi e sul come farlo.

Come difendersi dalle persone invidiose?
Innanzitutto è bene ricordare che è l’invidioso la vera vittima di sé stesso: è una persona insicura che ha un grave problema di autostima e che cerca di svalutare noi per potersi sentire un po’ meglio. Ricordare che chi si comporta così ha un problema, può aiutarci a non lasciarsi coinvolgere nella competizione ed anzi ad agire in modo non ostile nei suoi confronti. Se si riesce a comprendere questo, si può facilmente rispondere ad eventuali attacchi con indifferenza anziché rispondere per le rime. Quindi comprendendo che ciò che sta esprimendo è frutto di una sua forte difficoltà, sebbene ci faccia rimanere molto male.
Ma se certi tipi di commenti e frecciatine diventano la norma o se la persona inizia a mettere in atto altri spiacevoli comportamenti segno di invidia, allora è il caso di parlargliene chiaramente, mostrandosi cooperative e esplicitando come ci fa sentire questo genere di comportamenti e quanto questo ci dispiaccia, dato l’affetto che abbiamo per lui/lei.
Insomma, anziché rispondere per le rime, molto meglio far arrivare il messaggio che abbiamo capito che è in difficoltà e che siamo disponibili a dargli una mano, iniziando col ricordargli quale visione positiva abbiamo di lui/lei.
Se l’invidia si scatena in ufficio la situazione è un pò diversa in quanto si confonde con la competitività propria degli ambienti lavorativi, rischiando di assumere toni veramente spiacevoli. Può capitare ad esempio che l’essere oggetto di invidia si traduca nell’essere oggetto di maldicenze o peggio, di colleghi che si prendono meriti per il lavoro che in realtà abbiamo svolto noi. Anche in questo caso la soluzione migliore non è rispondere a tono poiché si rischierebbe di peggiorare il clima lavorativo complicando ulteriormente la situazione. Molto meglio invece cercare di ignorare il/la collega invidioso/a, rettificando senza attaccare solo quando strettamente necessario a livello lavorativo ed evitando qualsiasi confidenza, così da dare meno spunti possibili per essere nuovamente attaccati.

Bibliografia e sitografia
Caprara-Gennaro, Psicologia della personalità, Il Mulino.
http://www.salute24.ilsole24ore.com/articles/16083-psicologia-br-la-cattiveria-e-una-br-questione-biologica?refresh_ce

http://www.chiarafrancesconi.it/letture/emozioni/31-invidia-insoddisfazione-autostima.html