A tutti noi sarà capitato (chi più volte, chi meno, nel corso della vita) di passare sotto il “torchio” di un intervistatore in un colloquio attitudinale che sia stato per un’azienda privata, o di un concorso pubblico. Ma siamo sicuri che ogni volta avessimo di fronte una persona con le giuste competenze per assolvere tale compito?
In questo articolo cercherò di smontare un falso mito metropolitano, ossia che chiunque (internamente alla azienda stessa) possa svolgere un colloquio di lavoro nelle vesti di un selezionatore.
Le normative di riferimento
Innanzi tutto va ricordato che il colloquio attitudinale rientra negli strumenti di lavoro dello psicologo e secondo l’art.1 della legge 56/89 La professione di psicologo comprende l’uso degli strumenti conoscitivi e di intervento per la prevenzione, la diagnosi, le attività di abilitazione-riabilitazione e di sostegno in ambito psicologico rivolte alla persona, al gruppo, agli organismi sociali e alle comunità. Inoltre l’art.21 del Codice deontologico degli psicologi afferma: L’insegnamento dell’uso di strumenti e tecniche conoscitive e di intervento riservati alla professione di psicologo a persone estranee alla professione stessa costituisce violazione deontologica grave. (…) Sono specifici della professione di psicologo tutti gli strumenti e le tecniche conoscitive e di intervento relative a processi psichici (relazionali, emotivi, cognitivi, comportamentali) basati sull’applicazione di principi, conoscenze, modelli o costrutti psicologici.
Già questa premessa di carattere giurisprudenziale potrebbe bastare per arrivare alla conclusione che tutti coloro i quali non sono psicologi regolarmente iscritti all’ordine non potrebbero svolgere colloqui attitudinali, ma ci tengo a motivare, in queste righe, il vero perché un colloquio dovrebbe essere tenuto solo da chi ha i titoli e le conoscenze professionali per farlo.
La delibera del CNOP (Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi) del 23 aprile 2005 “Linee Guida per le attività Psicologiche di Valutazione e Selezione del Personale” afferma che le attività di selezione del personale e, in generale, tutti gli interventi Psicologici che prevedono la valutazione delle risorse umane all’interno di contesti lavorativi e organizzativi, hanno consistenti implicazioni deontologiche. Secondo questa direttiva le competenze deontologiche ritenute necessarie per adempiere al mandato che viene affidato allo psicologo nei processi di selezione e valutazione del personale devono soprattutto rispettare cinque criteri fondamentali: la “responsabilità”, l’ “integrità”, l’ “autonomia”, la “competenza specifica”, il “rispetto dell’altro”.
Per “Responsabilità” si intende il rendersi conto delle conseguenze che il proprio operato può determinare nei confronti delle persone e delle attività affidate. L’agire secondo standard professionali, aderire ai doveri professionali del ruolo, accettare le responsabilità relative al suo comportamento e adattare i propri metodi ed i propri bisogni ai differenti gruppi di persone. Contribuire alla percezione della professione e generare visibilità perché in grado di sviluppare qualità nell’attività svolta nei confronti del cliente (committente e candidato) e della persona. Gli esperti di selezione e valutazione sono quindi interessati al consenso etico della condotta scientifica e professionale dei loro colleghi e, quando è opportuno, si consultano con loro al fine di prevenire ed evitare comportamenti non etici.
Gli esperti di selezione e valutazione si impegnano nel promuovere l’integrità nella selezione e nella valutazione del personale dove per integrità s’intende di due specie: “Integrità professionale” e “Integrità personale”. La prima riguarda la coscienza dei propri limiti, dalla capacità di sviluppare padronanza di sé. Fa riferimento all’agire di tipo tecnico, professionale, e diventa rigore metodologico, disciplina, acquisizione di criteri di sistematicità e di razionalità. La seconda fa riferimento ad un richiamo etico e deve essere intesa come serietà, come trasparenza, sia nei confronti del committente che del candidato, come coinvolgimento nel proprio ruolo, nella situazione, nella relazione con gli altri.
Anche per quanto riguarda il principio deontologico della “autonomia” è opportuno specificare che la consapevolezza del proprio ruolo e della propria professionalità determina la capacità di definirsi rispetto agli altri e la possibilità di stabilire relazioni autentiche. Liberarsi dalle forme negative della dipendenza, e dell’indipendenza come forma di estraneità e di autosufficienza, in cui la relazione è negata all’origine, per sviluppare l’interdipendenza, come configurazione relazionale che mantiene la finalità primaria di preservare e far evolvere il rapporto professionale. Questa è la base fondamentale di ogni autentica collaborazione professionale.
Inoltre, sempre secondo la direttiva suddetta, la competenza del selezionatore e del valutatore è costituita dalla “conoscenza di sé”, dall’ “apertura”, dal “possesso di conoscenze” e dall’ “impegno” continuo. La conoscenza di sé si fonda sulla comprensione delle modalità con cui si attribuiscono significati agli eventi e significa aver capito il valore dei propri progetti, delle proprie emozioni e della propria immagine confrontata con la rappresentazione che gli altri si fanno di noi. La competenza come apertura è rappresentata dalla tensione ad utilizzare di continuo i dati e le informazioni che di volta in volta si acquisiscano, ristrutturando continuamente il risultato raggiunto. La competenza come possesso di conoscenze vuol dire essere coscienti del fatto che le competenze richieste durante l’attività di lavoro variano con il contesto e le caratteristiche distintive delle persone con cui si interagisce. Gli esperti di selezione e valutazione sono consapevoli della portata e dei limiti delle loro competenze specialistiche e forniscono i servizi e usano tecniche, scientificamente fondate, per le quali sono qualificati tramite il titolo di studio, la formazione e l’esperienza. La competenza come impegno significa che gli esperti di selezione e valutazione si impegnano a misurarsi con standard di eccellenza costruiti su un continuo sforzo di miglioramento e nel cercare di migliorare la capacità individuale e del team per fornire risposte che soddisfino il cliente esterno e il cliente interno, il committente ed il candidato.
Il “rispetto dell’altro” che viene richiesto al selezionatore ed al valutatore è costituito e si articola in cinque fondamentali dimensioni, vale a dire la capacità di “ascolto”, la capacità di “collaborazione”, lo spirito di “servizio”, l’ “interesse per il benessere altrui” e la “comunicazione” che il selezionatore ed il valutatore devono saper sempre,contemporaneamente, perseguire.
In seguito, all’interno delle operazioni di selezione rivestono sicuramente un ruolo fondamentale almeno quattro distinti momenti relativi alle operazioni di selezione:
– L’analisi della domanda;
– L’analisi del ruolo (“Job analysis”) oggetto di selezione, rispetto allo specifico contesto organizzativo, al fine di definire le abilità, le competenze e gli atteggiamenti che deve possedere il candidato ideale;
– La valutazione dei candidati rispetto al ruolo specifico, tramite ad esempio di: colloquio motivazionale, test attitudinali, inventari di personalità, prove di gruppo;
– La redazione di un verbale o “report” conclusivo del lavoro svolto e dei risultati ottenuti e la presentazione di tale report al Committente.
Alla luce di quanto riportato, è evidente come il concetto di professionalità sia ben più ampio di un semplice discorso di possesso di titoli professionali, o accademici, ma riguarda una costellazione di abilità e caratteristiche personali, umane e professionali che si acquisiscono mediante esperienza, apprendimento, elaborazione e naturalmente studi e tirocini specifici.
Ma non è tutto. Nonostante la grande preparazione richiesta, ci sono altri fattori fuorvianti che entrano in gioco nel setting di un colloquio attitudinale che possono ingannare il selezionatore non esperto e consapevole, influendo negativamente sul giudizio che si sta compiendo. Alcuni di loro sono veramente curiosi e interessanti. Nel prossimo paragrafo ne viene dato un breve accenno.
Gli errori di valutazione
Durante i colloqui di selezione del personale possono manifestarsi degli errori di giudizio, i cosiddetti bias, dovuti al fatto che la valutazione comporta sempre un processo cognitivo soggettivo che si sforza il più possibile di essere oggettivo. Vediamo quali sono i più comuni.
EFFETTO ALONE: L’effetto alone è uno degli errori di valutazione più diffusi. Questa distorsione consiste nella tendenza ad attribuire al candidato in colloquio un giudizio complessivamente positivo o negativo, poiché una sua caratteristica specifica, considerata positiva o negativa, ha influenzato il nostro giudizio a tal punto da estendere quel particolare tratto ad altri attributi dell’individuo inficiando il giudizio complessivo. Ad esempio se una persona sembra socievole verrà giudicata anche simpatica, oppure se una persona ci appare intelligente ci sembrerà anche brillante. Altri esempi sono le associazioni bellezza-bontà o bellezza-intelligenza. Questo tipo di associazioni sono spiegabili grazie agli studi condotti dallo psicologo Solomon Asch (1946). La presenza di un tratto determina immediatamente l’associazione con un insieme di altri tratti collegati di cui non c’è verifica diretta, per cui, se un tratto viene considerato per il selezionatore positivo, allora la persona stessa sarà giudicata positivamente.
SEDUZIONE: Non va intesa solamente nell’accezione della candidata donna che seduce il selettore uomo, o viceversa. Il discorso è più ampio e accade laddove un selettore sceglie il suo candidato per la “bella impressione” che gli ha fatto ossia perchè brillante, di bell’aspetto, seducente, con un forte narcisismo, desideroso/a di primeggiare e non per le qualità ricercate effettivamente nel job profile.
EFFETTO INDULGENZA/SEVERITA’: Il selezionatore può inoltre imbattersi in quello che è conosciuto come effetto indulgenza o, all’opposto, effetto severità. Si tratta di un bias tipico dei selezionatori di manica larga o di manica stretta, che tendono a valutare in modo eccessivamente positivo o negativo il candidato. L’effetto indulgenza si verifica frequentemente quando l’azienda ha bisogno di inserire subito un nuovo dipendente, per un aumento improvviso del carico di lavoro, pertanto si rischia di scegliere una persona non perfettamente in linea con il ruolo, ma subito disponibile. L’effetto severità invece è più frequente quando si devono selezionare alti profili, in cui gli standard di selezione sono molto elevati, in questo caso, se il profilo del candidato non è verosimilmente quasi identico al profilo ideale, il candidato non viene scelto.
EFFETTO DELLA TENDENZA CENTRALE: Un errore simile ai due precedentemente esposti è quello denominato effetto di tendenza centrale. Tale distorsione consiste nell’avere la tendenza ad attribuire al candidato solo i valori medi della scala di valutazione, ossia di assegnare i valori centrali della scala senza sbilanciarsi su valori alti o bassi. Questo errore comporta il rischio di non valorizzare le prestazioni eccellenti e non individuare quelle scarse. È la tendenza in cui spesso incorrono anche gli insegnanti che raramente attribuiscono degli “ottimo” o dei “10” o degli “1” ai loro allievi, ma tendono generalmente a mantenersi entro un centro range che va di solito dal “3” al “8”.
EFFETTO PRIMACY/RECENCY: Un altro errore piuttosto frequente è l’effetto primacy, determinato dalla “prima impressione”. Il selezionatore tende a dare un peso maggiore alle prime informazioni che riceve, che saranno anche quelle che ricorderà in maniera più precisa quando dovrà esprimere un giudizio finale complessivo. Le informazioni che invece acquisisce successivamente alla prima impressione vengono tralasciate o comunque non viene data loro la giusta rilevanza. L’effetto primacy è difficile da controllare perché è impossibile non crearsi una prima impressione e bisogna fare un grande sforzo critico per mettere in discussione “le verità” su cui abbiamo fondato il nostro primo giudizio.
Immaginate come questo bias può influenzare un processo di selezione! Succede però che l’immagine della persona che abbiamo di fronte è già stata costruita e il selezionatore, non consapevole di questo bias, prosegua il colloquio andando alla ricerca di elementi che confermano la prima percezione del candidato.
Sul versante opposto dell’effetto primacy si colloca invece l’effetto recency che, nel processo di selezione, è meno frequente o comunque meno riscontrabile.
L’effetto recency riguarda la tendenza a ricordare solo la parte finale del discorso del candidato, soprattutto quando le ultime informazioni hanno valore positivo. Durante un colloquio possiamo trovare il candidato poco interessante dal punto di vista professionale per ricoprire il ruolo per cui stiamo effettuando la selezione. Ci fornisce una serie di elementi che tralasciamo perché non in linea e poi, verso il termine del colloquio, ci sorprende con un aneddoto sulla sua vita professionale in cui magari si evince una sua competenza chiave, che può essere di problem solving, relazionale o di pianificazione. Ecco che l’immagine che ci siamo creati del candidato durante l’intervista viene stravolta in pochi secondi. A distanza di tempo queste saranno le impressioni del candidato che conserveremo in noi più vividamente.
Conclusioni
Una valutazione priva di errori di giudizio è praticamente impossibile, viceversa è possibile ridurre al minimo la probabilità che si verifichino adottando alcuni accorgimenti.
Innanzitutto è possibile ridurre molti di questi errori di giudizio conducendo dei colloqui di selezione con due o più intervistatori.
Non è possibile ridurre il giudizio soggettivo, anzi questo potrebbe essere un elemento che può valorizzare il processo di selezione, soprattutto quando è possibile un confronto con “altre soggettività”.
Detto ciò si evince abbastanza chiaramente come la preparazione, la giusta esperienza e le conoscenze tecniche-professionali siano fondamentali per offrire un servizio di qualità che accontenti al meglio tutte le parti implicate nei processi di selezione del personale e non cadere vittima dei tranelli che la mente ci crea soprattutto se siamo chiamati a scegliere i migliori, o l’uomo giusto al posto giusto.
Infine, una nota per tutti i candidati (e di rimando per i dirigenti preposti); è bene sapere che laddove vengano somministrati test attitudinali, o di personalità, o vengano svolti colloqui individuali/di gruppo senza la supervisione accertata di almeno uno psicologo regolarmente iscritto all’albo, in caso di inidoneità il candidato può procedere a ricorrere formalmente al TAR per i concorsi negli enti pubblici e al tribunale ordinario per selezioni in società private avverso il giudizio di esclusione dal concorso/selezione. Inoltre, laddove venga accertato il fatto, il candidato (o chiunque sia in possesso di queste informazioni) può fare una segnalazione al CNOP il quale potrà sanzionare formalmente l’ente pubblico/azienda privata con conseguente procedimento giudiziario. Uomini avvisati…
Bibliografia e sitografia
Asch S.E., Forming impressions of personality, in “Journal of Abnormal and Social Psychology”, 41, 258-290, 1946
De Carlo N.A., “Teorie e strumenti per lo Psicologo del lavoro e delle organizzazioni”, Franco Angeli, Milano, 2003
Gabassi P.G., “Psicologia del lavoro nelle organizzazioni”, Franco Angeli, Milano, 2007
Semi A.A., “Tecnica del colloquio”, Raffaello Cortina, Milano, 1985
Watzlawick P., Beavin J.H., Jackson D.D., “Pragmatica della comunicazione umana”, Astrolabio, Roma, 1967
Legge 18 febbraio 1989 n°56
Codice deontologico degli psicologi
Delibera CNOP 23 aprile 2005 “Linee Guida per le attività Psicologiche di Valutazione e Selezione del Personale”
www.humantrainer.com/psicologia-del-lavoro/psicologia-lavoro-selezione-distorsioni-giudizio.html
www.ebcconsulting.com/psicologia-del-lavoro/errori-di-giudizio-nel-colloquio-di-selezione.html